Altro, altri

come mi è arrivato, lo incollo qui. un racconto del mio amico E. che mi è piaciuto, e che ho voluto ospitare.

Titolo: sparare al cuore

Ho puntato la sveglia alle sette e un quarto come tutti i giorni ma sono sveglio già da un po’; aspetto solo che suoni per spegnerla e stare un altro quarto d’ora nel letto, al caldo: il caldo mi fa pensare a lei, io e lei abbracciati, io che le sfioro le dita, le accarezzo i capelli. Intanto sono già dieci alle otto, dovrei essere già uscito e invece sono qui in pigiama indeciso se col latte mangiare biscotti o cereali.
Per strada ascolto un cd, ‘’Hardaswallow’’ dei Radical Stuff, anzi veramente ascolto una traccia sola, ho sentito solo quella e non riesco a togliermela dalla testa; penso che di solito non mi piace ascoltare musica la mattina presto tranne quando sono sereno, guardo il cielo senza nuvole e mi metto un attimo a camminare all’indietro, mi tolgo il cappuccio per lasciare che il sole si stenda su tutto il mio viso, appoggio le mani dietro la nuca, rido, I wish you were here.
Intanto mi ricordo che avrei dovuto svegliare mia mamma, ultimamente mi chiede sempre di chiamarla quando mi alzo perché vuole controllare che non metta la felpa bucata per andare a scuola. Oggi c’è il compito italiano, io sono curvo sul banco con i gomiti nudi che escono dalle maniche strappate, mentre scelgo tra le tracce quella per cui si debba avere studiato meno e riflettere di più, ma nei miei pensieri c’è spazio per una cosa sola che sfocia in mille situazioni diverse: lei di spalle, io che mi avvicino e le prendo la mano, oppure io che vado di corsa sotto casa sua, sudato fradicio, per dirle cose che non avrò mai il coraggio di dire, io che le offro da bere, lei che cerca il mio sguardo, io che la bacio sulla bocca. Mentre cammino per le vie della mia mente assieme a lei accorgendomi che la sua presenza renderebbe magico qualsiasi inferno, la campanella mi ricorda che devo scrivere un tema e butto giù qualche riga natami in testa tra una fantasia e l’altra; consegno quasi in bianco e per il resto delle ore mi avvolgo nell’invisibilità, non parlo con nessuno e nessuno parla con me, sto nel mio aspettandomi che nessuno provi ad entrarci. Sono sempre stato un fantasma a scuola, gli amici sono bocciati tutti, sopravvivo da solo sotto gli occhi dei compagni che mi guardano come si guarda un animale strano; dal mio silenzio si difendono con l’arroganza, ma alla loro arroganza non sono mai stato capace di reagire, lasciando poco a poco che la mia personalità venisse schiacciata in questo ambiente. Vado avanti nell’anonimato.
A casa metto su ‘’In Dopa’’ dei Sangue Misto, ripetendola all’infinito; in tre parole fa stare bene. È ideale per accompagnare l’eccitazione che mi frizza in corpo: domani ho l’appuntamento con Noemi, mi prende bene e non devo farmela passare. Sì, Noemi, la lei che ha abitato nei miei pensieri tutta la mattina, ma che in realtà ci abita già da un po’; non voglio abbandonare l’ebbrezza che sento in circolo e non devo permettere a niente di buttarmi giù, voglio mostrarle tutto l’entusiasmo che di solito resta nascosto sotto quella patina di depressione apatica che mi mette lo stare in classe.
Vado a letto accoccolato nel caldo delle coperte e nel caldo delle mie immaginazioni d’amore, chiudo gli occhi e mi addormento col sorriso.

Dormo poco comunque, non riesco a sgomberare la mente, quindi mi sveglio prima e arrivo a scuola incredibilmente più presto del solito; oggi non c’è il sole, tira un vento freddo, penso che pioverà e che la perfezione non esiste. In classe mi sembra di essere fatto di vetro, gli sguardi dei compagni mi passano attraverso, scrutano ogni angolo della mia fragilità: mi provocano, ogni loro gesto mi appare come un oltraggio, il mio cuore accelera e comincia a farmi caldo, ho prurito, vedo nero. ‘’Non mi toccate, vi ammazzo’’, penso, ma intanto sono diventato rigido come un pezzo di ghiaccio e potrei spezzarmi al minimo movimento delle labbra o delle dita; creare è così difficile, ma per rovinare basta una parola. Mi sento abbattuto, l’entusiasmo che mi danzava dentro crolla di colpo, nel sangue comincia a scorrermi una rabbia dal sapore schifoso, una rabbia inerte e vergognosa. Me ne vado. Continuo a pensare a come sia più facile distruggere che costruire, offendere che consolare, fare male piuttosto che fare bene. Mentre vado alla deriva mi telefona Noemi: vorrei dirle qualcosa ma in mente ho un ritornello, vi odio vi odio vi odio, come se gli Wretched stessero suonando nel mio cervello; ho bisogno di sfogarmi ma non devo farlo su di lei, rovinerei tutto. Mentre riattacco senza dire una parola, ho già inteso che oggi non andrò all’appuntamento, non voglio che mi veda naufragato in queste sensazioni, in questi pensieri da depresso, non voglio che veda solo il mio lato sbagliato, non so per quanto durerà né quando e se coglierò l’occasione di riscattarmi.
Sta piovendo adesso che cammino verso casa, mi fermo nel punto dove di solito la mattina mi volto a guardare il sole che ora non si vede, e in testa ho l’odore dell’asfalto bagnato e i miei compagni di classe e Noemi; salgo e mi chiudo in camera ad ascoltare qualche pezzo rabbioso e graffiante di Kaos One.
Van Gogh si suicidò sparandosi al cuore; mi sembra così romantico, mentre io mi sento solamente un idiota incapace di combattere se stesso e, come se non bastasse, mia madre ha veramente buttato via la mia felpa strappata.

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