Di lei mi coplì soprattutto il gancio destro

lo stomaco gli brontolava insistentemente, ma a lui piaceva pensare che quel rumore venisse dalla macchinetta del caffè che non aveva. così, giusto per sognare un po'. un caffè caldo che lo aspettava di là, in cucina.
tutto quello che aveva però era un foglio, anzi, tanti fogli. tanti fogli e qualche penna. fogli rigorosamente rubati e penne sottratte a qualche bar o ristorante.
ovvio, qualcosa di che mangiare ce l'aveva. ogni tanto qualche giornale gli comprava una storia per una miseria e con quella, lui, ci andava avanti per mesi. e nel frattempo scriveva. scriveva pacchi di carta e parole che riempivano disordinatamente la sua stanza illuminata dal sole di giorno e dal lampione vicino di notte.
scriveva di gente normale, gente come lui. gente che però, a differenza sua, mangiava, si ingozzava di cibo. la tavola era il centro dei suoi racconti. si ritrovavano tutti a pranzo, i suoi personaggi. e tra un piatto e l'altro, succedeva di tutto. si rompevano matrimoni, morivano persone, si rideva, si sconvolgeva l'equilibrio della famiglia, nascevano bambini. di tutto fino all'inverosimile.
ma lui sognava. sognava una rubrica tutta sua. "il mercoledì della tavola": così l'avrebbe chiamata.
intanto continuava a scrivere, intabarrato nella giacca lacera e sudicia trovata nella spazzatura ed nel cappello di lana, unico regalo mai ricevuto.
faceva scorrere la mano rachitica e infreddolita sui fogli impugnando la penna come fosse la corda che lo teneva a galla in un mare di difficoltà al limite del possibile, come le sue storie.
scriveva ascoltando Chet Baker, che suonava dal grammofono della stanza accanto.
ma una sera, verso dicembre, mentre il cielo si oscurava alle cinque del pomeriggio, lo stomaco gli diede una stretta che nemmeno l'inchiostro sulle pagine avrebbe potuto fermare. si piegò in avanti cercando di ricordare quando fosse stata l'ultima volta che aveva messo qualcosa sotto i denti.
doveva essere stato almeno due o tre giorni fa.
doveva essere stato un avanzo rimediato, poca roba insomma.
e d'improvviso si mise a leggere rapidamente tutti i suoi fogli, tutti quelli che gli capitavano sotto mano. e lesse di enormi pranzi, cene colossali, pietanze di ogni sorta ed invitati grassi che ruttavano e si facevano grandi davanti ai loro piatti strabordanti di pollo arrosto.
così ne prese uno e se lo mise in bocca; ed iniziò a masticare. poi un altro. e un altro e un altro ancora. ed ingoiava. ingoiava tutta quella carta, che così piena di profumo e sostanza gli sembrava.
poi al quarto o quinto foglio appallottolato con frenesia rimase senza fiato, strozzato, e cadde all'indietro.
soffocato, ucciso dalla sua stessa materia, ucciso da tutte le persone con pance più piene della sua, pance che lui stesso aveva riempito.
gli scappò un pensiero, su questa cosa, poco prima di morire.
e gli sembrò vagamente assurdo.

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