Il meno possibile di una più semplice felicità è un serio accontentarsi a cui a volte si deve necessariamente ricorrere

sarebbe stato incredibile avere le ali. assurdo.
chissà quanto in alto sarebbe potuto arrivare spiccando il volo dal primo tetto, dal primo albero.
lo desiderava, più di ogni altra cosa.
da piccolo giocava sui pensieri di fantasia in cui incontrava il genio della lampada, e gli chiedeva un paio d'ali.
non smise di desiderarle nemmeno dopo i diciotto anni.
non smise di desiderarle nemmeno dopo che lo avevano chiamato a ragionare, a confrontarsi coi suoi anni che per lui rimanevano sempre gli stessi.
ogni tanto provava a muovere forte le braccia, o solo a concentrarsi chiudendo gli occhi e, a volte, sentiva di riuscire a staccarsi dal suolo, solo un poco, ma ce la faceva. era solo questione d'esercizio.
tutti i pomeriggi, che fosse il più intenso dei soli o il più rigido degli inverni, pioggia e neve permettendo, uscivano tutti in giardino, a passeggio nei prati o a nascondersi sotto gli alberi, a sedersi sulle panchine o a starsene lì fermi impalati con lo sguardo nel vuoto e la mente a rincorrerlo.
qualcuno non usciva, perchè c'era gente che lo voleva morto.
lui invece era sempre col vento a favore, dopo averlo cercato anche quando non c'era.
spesso non faceva in tempo e doveva rientrare prima ancora di riuscire ad immaginarsi sopra i grattacieli, a guardare quei puntini che erano le persone.

quel giorno però stava indubbiamente volando.


tutto era ribaltato, la gente sopra di lui a guardarlo dall'alto in basso.
gente bianca del cielo, forse.
adesso volavano gli altri.

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